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Il diario di un trapiantato Empty Il diario di un trapiantato

Messaggio Da Admin Gio Ott 08, 2009 8:02 pm

Scrivo da sempre.
Già a 15 anni riempivo pagine di diario. Una malattia ti fa sentire diverso, e spesso ti manca il confronto.
Anche se i tuoi cari ti riempiono d'affetto, non arrivano mai a immaginare come ti senti realmente e cosa provi.
Perché ti capita di sentirti un extraterrestre, una persona predestinata, e in particolare nei momenti difficili sai che hai i giorni contati.
In effetti i giorni contati ce li abbiamo tutti, sani e malati, ma chissà perché ognuno vive immerso nell'illusione di un tempo infinito, per cui si permette anche di rimandare a domani, a dopo, al mese prossimo delle cose veramente importanti.

Ora sto bene, e ogni giorno ringrazio il Cielo del Dono che mi ha fatto, e scopro che ogni attimo ha il proprio senso, e con la consapevolezza di avere un tempo limitato, ho imparato a vivere con attenzione, dando valore ai miei giorni, ai miei minuti.
E ogni giorno scopro con gioia tante cose da fare.

Ma per arrivare a questo ho dovuto attraversare un buio tunnel. Perché tutto è iniziato in maniera tragica.
A trent'anni ero praticamente in fin di vita, anche se, a stenti, mi trascinavo imperterrita nella vita di tutti i giorni.
Pensavo avessi l'ansia. E invece avevo i polmoni pieni d'acqua. Pensavo fossi stressata. E invece avevo 5 di emoglobina. Pensavo fosse un po' di stanchezza. E invece era la pericardite.

Non mi volevo arrendere alla malattia.
Sapevo di avere un qualcosina. Avevo tredici anni quando un medico, con la sensibilità di un elefante, spiattellò in faccia ai miei genitori che non sarei arrivata a quindici.
Non si fece neache il problema di appurare se stessi ascoltando oppure no. Io avevo ben sentito e chissà... magari fu proprio quella frase a darmi in seguito quell'alone di cinismo e di distacco. Una sensazione di non appartenenza, come se io fossi diversa da tutti.
E invece arrivai a trent'anni. Ed ero riuscita a fare pure due figli.
Il mio coraggio e la mia incoscienza mi hanno dato il grande dono di due figli speciali, che hanno riempito di gioia, di forza e di significato la mia esistenza.

(continua)


Ultima modifica di Admin il Lun Gen 18, 2010 1:40 pm - modificato 3 volte.
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Il diario di un trapiantato Empty Come recuperare i farmaci immunosoppressori

Messaggio Da Admin Sab Nov 14, 2009 1:41 pm

Ottobre 2009

Le medicine

Anche oggi mi sono scontrata con la burocrazia.
Questa storia delle medicine è assurda.
Dieci chilometri per andare alla farmacia del policlinico e sentirmi ripetere per l'ennesima volte che i farmaci non ci sono e che occorre andare a prenderli in un altro ospedale.
Dieci chilometri per farsi mettere un timbro. Due farmaci da prendere in tre ospedali posti ai lati estremi della città.
Fino a qualche anno fa accettavo tutto passivamente. Già era un miracolo essere ancora in vita, per cui tutto il resto lo accettavo con una santa rassegnazione.
Ma da qualche tempo mi ribello e penso che non sia giusto né per me né per nessun altro.
Oggi mentre ero in attesa (per il timbro..) è arrivato un signore dopo di me. Zoppicava e non so come si è arrampicato su per le scale. Con il fascicolo sotto il braccio si è seduto. Neanche un minuto e si è rialzato. Mi sono accorta che sedendosi gli arrivava lo spiffero d'aria giusto in fronte dalla finestra aperta. Noi trapiantati dobbiamo avere una estrema attenzione a non ammalarci. Lui non ha fatto obiezioni. Zoppicando cercava di darsi un tono leggendo gli avvisi appesi sul muro sporco. Anche lui, rassegnato, non fiatava.

Spesso accade che un male cronico ti leva forza e volontà, per cui, anche se si è un esercito, si stenta a far valere i propri diritti.

Ho provato a coinvolgere le persone in questa storia delle medicine. Ho scritto lettere, ho tentato di appendere volantini per sensibilizzare le persone a sottoscrivere una petizione per un modo più umano di rifornirsi dei farmaci.
Mi sono solo scontrata con l'indifferenza e la noia di medici e dei direttori sanitari, e in alcuni casi sono stata ascoltata con ostilità. Quasi avessi chiesto di mettere un bomba e non un volantino.
Un solo medico mi ha ascoltato. Ha cercato per me numeri di telefono, si è attivato per fornirmi informazioni. Più volte mi ha consigliato di rivolgermi a Tizio o Caio. Ma io non voglio risolvere solo il mio problema ma quello di tutti. Non ho intenzione di andare a chiedere per me, ma di riuscire a far cambiare una legge che costringe gente debilitata e immunodepressa, che ha bisogno di farmaci particolari, a recarsi in più ospedali per rifornirsene. Due farmaci in tre ospedali mi sembra troppo.
Ho ricevuto solo due telefonate.
Per ora la lettera da spedire è firmata da tre persone. E intanto domani occorre andare in un altro ospedale.
Con la mascherina perché oggi c'è stato un altro morto per l'influenza A e ancora non si è capito se per chi come noi, immunodepressi, è indicata la vaccinazione oppure no.

(continua)


Ultima modifica di Admin il Dom Feb 19, 2012 10:52 pm - modificato 1 volta.
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Il diario di un trapiantato Empty Tempi di influenza A e mascherine

Messaggio Da Admin Sab Nov 14, 2009 1:45 pm

Novembre 2009

Influenza A e mascherina

Mio marito ha l'influenza. Probabilmente è l'influenza A visto che oramai ha raggiunto in zona un picco notevole.
Lui le prende tutte: catarri influenze e virus vari e di certo non si poteva risparmiare la pandemia, e ora, come spesso accade, la mia casa sembra la succursale di un reparto di isolamento.
Da sette giorni dormo sul divano, giro per casa con tre mascherine, di cui una acquistata in un negozio di ferramenta, perché è più rigida, e fa pure un freddo cane perché si sta sempre con le finestre un poco aperte.
Mi rendo conto della fatica di entrambi in questo periodo. Adottiamo dei turni per il percorso in corridoio e ci parliamo per telefono. Io che trascorro le giornate a disinfettare tutto quello che penso lui tocchi, lui che non riceve un normale accudimento, che pure un the caldo, deve venire a prenderselo fuori la porta.
Inutile dire che da queste parti non si è visto nessuno. Tutti hanno paura del contagio, ma soprattutto sono presi dai fatti loro.
Sto pensando se andare a vaccinarmi. Le linee guida per i trapiantati indicano che occorre prendere una doppia dose di vaccino a distanza di 4 settimane l'una dall'altra. Ed è fortemente raccomandato di far vaccinare le persone conviventi.
Ho telefonato al medico del Centro trapianti e ho chiesto il suo parere sulla vaccinazione.

- Cosa vuole che le dica, mi risponde il medico, comunque fa si sbaglia...
- in che senso?
- Bhè i vaccini non mi sono mai piaciuti anche peché potrebbero influire sugli effetti dei farmaci
- E allora evito?
- No, no... di questi tempi magari è meglio farlo... si vada a vaccinare... meglio scegliere il male minore..


Una conversazione in cui trapela un doppio messaggio: Non ti vaccinare che è pericoloso, ma occorre farlo per evitare il peggio...

Questo è un esempio di comunicazione paradossale. Due messaggi contraddittori che non dicono assolutamente nulla e lasciano l'interlocutore in piena confusione.
Quasi quasi mi chiudo in casa, non lavoro e non mi vaccino... Anche perché se ho ben capito con tutte queste medicine, non è detto che il vaccino faccia effetto, e allora...Mah! Non so...


Ultima modifica di Admin il Dom Feb 19, 2012 10:54 pm - modificato 2 volte.
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Il diario di un trapiantato Empty Il vaccino per l'influenza A

Messaggio Da Admin Sab Nov 14, 2009 2:01 pm

Sui vaccini non si capisce niente.
Mentre le linee guida del ministero invitano a vaccinarsi, da più parti si levano voci contro i vaccini.
Ora tutti parlano dello squalene (non c'è che dire, come sempre le emergenze ambientali e sanitarie arricchiscono il nostro vocabolario!) l'adiuvante presente nei vaccini. E pare che faccia davvero male. E poi dicono che i vaccini contengono mercurio. I medici in primis non si sono voluti vaccinare.

E neanche io mi sono vaccinata.
Dopo un periodo di estrema confusione, in particolare quando avevo l'influenza in casa, decido di inviare una lettera a Saint Etienne, il centro trapianti che oramai mi segue da quasi vent'anni.

La risposta arriva subito, perché da sempre è molto più semplice parlare con il direttore del centro trapianti francese che con l'ultimo specializzando qui da noi.

Una risposta lapidaria. Niente vaccini.
Il vaccino che potrei praticare, io come tutti i trapiantati, sarebbe quello senza adiuvante, in pratica senza squalene, e visto che non è disponibile, allora niente vaccino!

Solo estrema attenzione e prevenzione.
- evitare il contatto con le persone malate;
- lavare le mani più volte al giorno con una soluzione idroalcolica;
- indossare una mascherina nei trasporti pubblici e in luoghi molto frequentati.

E così faccio. Evito mezzi pubblici. Evito di andare al cinema e non sto andando a casa di nessuno perché non posso prevedere se magari qrriva qualcuno con un raffreddore.
Non è facile. Né per me, né per chi mi è vicino.
Ma passerà.
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Il diario di un trapiantato Empty Certi giorni non è facile... anche se..

Messaggio Da Admin Mar Gen 26, 2010 1:12 am

Certi giorni non è facile.
In particolare quando vi sono tante cose da fare e la stanchezza mi prende.
E quando sono stanca mi ritrovo di cattivo umore.

In passato ho dovuto necessariamente poggiarmi su chi mi era vicino, ma dopo il trapianto mi sono scoperta attiva e lucida come non mai e ho iniziato a fare tutto da me.
In verità non è che abbia poi avuto tanta scelta.
Come è parso evidente che stavo centomila volte meglio ecco che, quasi come per incanto, sono crollati a uno ad uno un po' tutti coloro che avevo intorno.
Come se finalmente se lo fossero potuto permettere e potessero reclamare il loro diritto a lasciarsi andare nei problemi e quindi ad avere anche loro un poco di attenzione.
Si può dire che i problemi sono emersi che stavo ancora in rianimazione. Quando facevano a gara a chi doveva venire a farmi compagnia.
Una gara nel senso inverso: vinceva chi se lo risparmiava.

Può sembrare una amara, acida, constatazione ma è la realtà.
Io in verità, e oramai sono anni, ho sempre cercato di non pesare, chiedevo aiuto solo quando era strettamente necessario, ma purtroppo con una malattia importante il necessario può essere frequente. E posso bene immaginare, che l'ho visto, l'enorme disagio di ognuno. Perché è pesante accudire una persona che non sta bene, una malattia incide in maniera importante anche su coloro che sono vicino.

Per non parlare dei figli. La malattia di un genitore ne condiziona l'intera esistenza.
Ma non posso sentirmi colpevole di un male che non mi sono cercata, posso solo oggi cercare di fare il possibile per colmare quel vuoto enorme che hanno avuto.
Quando entro in questi pensieri non posso evitare di intristirmi del dolore e del peso che ho dato ai miei ragazzi, anche se ringrazio Dio che mi ha dato l'opportunità di esserci ancora, e in un certo qual modo esserci ancora per loro, anche se ora sono grandi.
Ecco perché ora faccio di tutto per vedermela da me.

A mio vantaggio c'è però il fatto che ho sempre lavorato, anche poco ma sempre, anche nelle peggiori condizioni non mi sono mai lasciata andare.

Ogni mattina, allora come ora, mi alzavo, mi lavavo, mi vestivo e poi facevo colazione. Non mi sono mai trascinata per casa in vestaglia. Già di primo mattino ero decentemente presentabile.
Un'abitudine presa tantissimi anni fa quando avevo 5 di emoglobina e ogni tre secondi mi schizzava la pressione a duecento. Vivevo ai limiti della sopravvivenza, in una dimensione estranea al mondo ordinario e in uno stato di coscienza alterato, sempre pronta a fuggire, ad andare in ospedale, a chiedere aiuto.

Sono storie passate, e non voglio pensarci. La tristezza porta altre tristezze e ora è venuto il tempo di essere serena e dare serenità a chi mi sta accanto.

So solo che sto bene solo quando sono attiva. Quando aiuto con il mio lavoro le persone a stare meglio, o comunque quando faccio cose che abbiano un senso.
Se si inizia a prestare attenzione si scopre che la vita segue un filo, che ci mette davanti delle occasioni, che forse tutto ciò che accade reca in sé un profondo insegnamento.

Dopo il trapianto mi sono spesso fermata a cercare di comprenderne il senso. Il perché è accaduto che nonostante tutto io fossi ancora qui. Non è stato un percorso da poco o facile, sono stati anni in cui si sono succeduti vari eventi, e la cui risoluzione è avvenuta in maniera a dir poco particolare, come se qualcuno, qualcosa, non so, avesse voluto ben farmi comprendere che nulla avviene a caso.
E se sto scrivendo la mia storia è proprio per condividerne il senso. E magari chissà aiutare qualcuno a riflettere e a scoprire il significato del proprio percorso di vita...
Non sarà facile, lo so, comunque ci provo.


Ma torniamo all'inizio... avevo inziato a considerare di come le persone che mi stavano accanto sono come "crollati" quando hanno visto che stavo meglio.
Su questo argomento mi piacerebbe confrontarmi con gli altri... anche a voi è accaduto ciò?
E' cambiato qualcosa nel rapporto con i vostri cari dopo il trapianto?

Il prblema è che in genere dalla malattie croniche non si guarisce. E nelle famiglie si strutturano dei rapporti in cui ognuno ha il suo ruolo. Chi è malato, chi sano, chi forte, chi debole. Chi prende le decisioni e chi si accontenta...
I ruoli si strutturano nel tempo e sono stabili, ma quando improvvisamente uno di loro cambia ecco che si alterano tutte le relazioni e ognuno deve ritrovare una nuova, diversa definizione...
E non è facile per nessuno..

A volte però ho avuto la sensazione che quasi non ti si perdona la guarigione...

(continua)
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