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Gianni, la storia di un trapianto di fegato.
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Gianni, la storia di un trapianto di fegato.
Probabilmente tutto ebbe inizio dopo essere andato dal dentista.
Gianni aveva una carie che in breve gli fu otturata.
Un problema banale, ma non le conseguenze che ne scaturirono.
Aveva trentacinque anni e qualche anno dopo quando fece alcuni controlli clinici scoprì di avere le transaminasi un poco più elevate della norma. Il medico generico non gli diede peso.
- Hai mangiato magari qualcosa in più, tra qualche mese ripetiamo gli esami.
Gli disse superficialmente.
Ma un amico, da poco laureato in medicina, gli consigliò, più per fare bella figura che altro, di ripetere gli esami del sangue e in più di inserire anche i markers dell'epatite e una ecografia epatica.
E così scoprì di avere l'epatite C.
Quando il suo medico, con gli esami in mano, gli diede la notizia Gianni esclamò:
- Che vuol dire?
- Niente ... , rispose laconico, niente di che... ti devi controllare ed evitare di bere qualsiasi tipo di alcolico. per il resto se i valori si mantengono così, non devi assolutamnete preoccuparti.
- Ah!
L'idea di non bere non gli piaceva affatto.
- Ma nemmeno un bicchiere di vino? insistette...
- Mah... una volta ogni tanto.. ma mezzo... e non sempre eh! - il medico pietoso gli disse rovinosamente,
- E la birra?
- Lo stesso.
Quando uscì dallo studio del medico ebbe la sensazione che sì, aveva un'epatite, ma che non era nulla di grave.
Quel medico aveva sbagliato del tutto l'approccio con il paziente.
Un medico che si lascia prendere dal pietismo e omette o travisa importanti informazioni non è un buon medico.
Un medico deve innnanzi tutto essere chiaro.
L'attenzione per i risvolti psicologici è un aspetto molto importante, ma consiste nella disponibilità, l'accoglienza e la rassicurazione del paziente, ma mai in nessun caso deve essere motivo di superficialità nel fornire informazioni.
Quella falsa affermazione fece sì che Gianni continuasse la sua vita di sempre.
Per i primi giorni ridusse notevolmente la quantità di vino e birra ma in breve tempo tutto riprese come prima.
L'amico, giovane medico, per i primi tempi lo rimproverava quando lo vedeva con il bicchiere in mano, ma anche lui ben presto dimenticò.
Dopo neanche un anno Gianni iniziò ad accusare una certa stanchezza.
Aveva la sensazione di sentirsi le gambe molli, di perdere di lucidità, e la mattina non rendeva al lavoro come avrebbe voluto.
Rifece le analisi e scoprì di avere le transaminasi altissime.
Questa volta, l'amico medico, con un senso di colpa grande come una casa, gli consigliò di rivolgersi a uno specialista.
Questa volta le cose andarono differentemente.
Il luminare innanzi tutto proibì nella maniera più categorica a Gianni l'assunzione di alcol in qualsiasi forma e di qualsiasi tipo e gli prescrisse un ricovero per accertamenti.
Prelievi, ecografie, radiografie e biopsia.
E fu così che gli proposero la terapia con Interferone che in alcuni casi può far regredire la malattia, fino alla completa remissione.
Erano i primi tempi che si utilizzava questo farmaco e la percentuale di risoluzione non era altissima, ma Gianni l'accolse. Ora, diceva, aveva ben compreso che non doveva per nessun motivo sottovalutare il suo problema.
Gli effetti dell'Interferone furono difficili da sostenere, ma qualche risultato sembrava essere raggiunto. le transaminasi calavano come pure la replicazione virale del virus e quindi Gianni decise, senza consultarsi con il medico, di ridurre prima e sospendere poi, il trattamento.
E pian piano riprese la vita di prima.
Il suo lavoro era molto stressante e lo costrigeva a dei continui spostamenti, inoltre gli dava molte preoccupazioni. Gli fu proposto anche un lavoro più sedentario ma lo rifiutò.
Gianni non beveva più, ma di tanto in tanto non si privava di una birra davanti la partita.
Di controlli, medici e specialisti diceva che non ne voleva più sentir parlare.
Ma dopo qualche anno gli ritornò la stanchezza, e alcune linee di febbre ogni sera che ne aumentavano il senso di spossatezza e il disagio.
Arreso all'evidenza, finalmente decise di recarsi a controllo.
I risultati furono disastrosi. Il fegato di Gianni non reggeva più, i segni clinici e strumentali erano evidenti, tanto che gli consigliarono di mettersi in lista per un trapianto.
Quando sentì parlare di trapianto gli cadde il mondo addosso.
Consultò un altro specialista, in un'altra città, e un altro ancora, ma i pareri erano concordi, aveva necessariamente bisogno di un trapianto.
Non gli restò che accettare. Non aveva alternative.
Dopo qualche mese il nome di Gianni fu in cima alla lista, che era tra i più urgenti, e ottenne il trapianto.
In un'altra città con delle lunghe degenze, ma tutto andò per il meglio.
Ora Gianni conduce una vita normale ed è ben presente nella cura della sua famiglia. Ha ridotto i ritmi di lavoro e ha imparato a prendere regolarmente la sua terapia.
La storia di Gianni è una storia a lieto fine, ma fa sorgere degli interrogativi.
E se il medico generico fosse stato più chiaro sin dall'inizio? Se Gianni avesse smesso del tutto di bere e avesse fatto dei controlli regolari e preso i farmaci così come gli erano stati prrescritti, sarebbe comunque arrivato al punto di aver necessità di un trapianto?
Risposte certe non ce ne sono, ma sicuramente l'adesione regolare ad alcune regole basilari, quali evitare assolutamente l'assunzione di alcol, rispettare regolarmente le date dei controlli clinici e delle visite specialistiche e moderare il proprio stile di vita, evitando gli eccessi di ogni genere, di certo avrebbero aumentato le sue probabilità di guarigione, e chissà, magari arrivare al punto di giovarsi anche di nuove terapie che gli avrebbero evitato di sottoporsi a un trapianto.
In questa storia anche l'amico medico di Gianni si è rivelato superficiale.
Perché se si ha un amico con una epatite e lo si vede bere, occorre togliergli il bicchiere di mano e ribadire l'importanza fondamentale di evitare l'alcol! Meglio una brutta figura che rendersi complici di un danno fisico importante di un'altra persona.
E se lo invitate a cena, non gli mettete il vino a tavola!
L'atteggiamento di farsi i fatti propri in questi casi non vale. Meglio una parola in più che può sembrare invadente ma che può contribuire a evitare penose conseguenze.
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